Maurizio Mosetti in “Guerrra”- voci di uomini in guerra

 

Non immagini, alle quali siamo tanto abituati, ma parole che, attraverso l’interpretazione magistrale dell’attore, mostrano tutta la loro forza evocativa, la loro capacità di trasmettere sensazioni ed emozioni su una pagina drammatica della nostra storia mondiale, perché ognuno, nel proprio intimo, quale “uomo del suo tempo”, possa diventare lui stesso testimone non passivo di quei tragici momenti, destinati purtroppo a ripetersi finché esisteranno gli uomini…Tutto questo è “Guerrra”, spettacolo per “attore solo” che, con una felice commistione di generi letterari e musicali all’interno di un cerchio narrativo disegnato dalla voce dell’artista Maurizio Mosetti, mette in scena l’orrore della guerra e costringe lo spettatore a misurarsi con essa, a pensare alle vittime innocenti spazzate via dalla barbarie umana.

Brani poetici, documenti, canzoni, brevi monologhi di vari autori e voci di bambini narrano delle due guerre mondiali, del Vietnam, dell’inferno di Sarajevo, della tragedia dell’Iraq…

Lo spettacolo si apre con la voce dell’attore che procede lentamente dal fondo buio della sala, arrivando da chissà dove con il suo sacco-cuscino e declamando “I casi sono due” dell’indimenticabile Petrolini. Sale sul palco accompagnato dalla musica  e quando il fascio di luce lo investe egli, quasi danzando, con il suo fardello sembra disegnare qualcosa nell’aria. E’ di nuovo silenzio. L’attesa dello spettatore quasi si avverte. L’attore riprende la parola: da qui lo spettacolo prende quota. Le letture si susseguono, diventano sempre più coinvolgenti, due sono in romanesco, il dialetto così amato da Mosetti. Ecco la traduzione di “Master of war” di Dylan con sottofondo originale. L’emozione diventa palpabile con “Compagno io non ti volevo uccidere” di Remarque e con “ La guerra di Piero” del grande Fabrizio De André. La “Ninna nanna della guerra” di Trilussa  con il suo carico di ironica amarezza sembra cullare tristemente gli spettatori. La vita, comunque, è bella e vale la pena di essere vissuta: il messaggio prorompente di Hikmet pare recare un raggio di sole nella sala buia del teatro. Originalissimo il finale, con quella voce fuori campo…Poi tutto si chiude esattamente come era cominciato. Le calde ed inconfondibili note di Tom Waits accompagnano Mosetti che, ripreso sulle spalle il fardello, se ne va chissà dove, a risvegliare qualche animo forse troppo sopito.

Molto buona la struttura dello spettacolo e la scelta dei testi, curata da Teresa Giusti, Loretta Pistilli, Ivana Pizzuti e Marisa Tola in collaborazione con il regista ed interprete dello spettacolo.

Ottime e accattivanti le musiche, eccellente l’interpretazione di Maurizio Mosetti che ancora una volta non delude le aspettative del suo pubblico. Un  peccato perdere “Guerrra”.

L&M - Kolleferro.it


In scena la “Guerrra”, mostruosità anche fonetica.

Programma ad alta intensità, quello del Festival Teatrale Artaudiana promosso da Teatro Zeta (www. zeta­teatro. com) e in corso di svolgimento a Termini Imerese, vicino Palermo. Inauguratosi il 6 aprile con Senza lacrime, spettacolo di Stefania Sperandeo e Annamaria Guzzio ispirato alla figura e all’attività di due donne di forte temperamento quali Alda Merini e Franca Rame, il Festival si è poi inoltrato, con Constriction di Emilio Ajovalasit, in quel temibile universo concentrazionario che è il lager, ma anche il manicomio. E qualche sera fa è andato in  scena un altro spettacolo “scomodo” Guerrra, di cui è autore, regista e interprete Maurizio Mosetti. Attore di lungo corso, ha iniziato all’insegna dello sperimentalismo di Silvio Benedetto,  mantenendo una forte predilezione per temi e prospettive dell’avanguardia, come dimostrano non solo le successive esperienze con Gianfranco Varetto, Giancarlo Sepe e Giuliano Vasilicò, ma anche l’attività registica intrapresa da diversi anni nel corso della quale ha adattato e diretto opere di Giuseppe Gioachino Belli, Aldo Palazzeschi, Giampaolo Rugarli, Istvàn Orkény, Raymond Queneau, Max Aub: Autori certamente diversi tra loro ma accomunati da una propensione all’ironia, alla satira, al grottesco. Elementi ravvisabili anche in questo suo ultimo spettacolo, in cui la “guerra”, mostruosità anche fonetica, è rappresentata attraverso il corpo fragile e l’acuta sensibilità di un viandante che emerge da un punto imprecisato della sala tenendosi ben stretto il suo fagotto e declamando “i casi sono due” di Petrolini. E’ a partire dall’inconfondibile irrisione petroliniana che si dipanano, più spesso in crescendo, ma talvolta nelle tonalità più quiete e malinconiche di una canzone o di una ninna nanna, le molteplici dimensioni tematiche e sonore della guerra.

La guerra come arrogante, gutturale decisione dei potenti (Karl Valentin, che ci riporta immediatamente al clima della repubblica di Weimar); esperienza che segna per la vita, come traspare dalle memorie di Emilio Lussu e di Erich Maria Remarque, entrambi combattenti, da fronti opposti, nella prima guerra mondiale; come trappola mortale per le persone miti – il Piero della celebre canzone di De André – e per i piccoli della terra – le tre lettere scritte da bambini di scuola elementare  sulla guerra in Iraq sono momenti di assoluta sospensione; come ustione che rimane nella carne, secondo le parole di Josip Osti, poeta di Sarajevo. Più che alternarsi, musica, testimonianza e poesia s’incalzano nella voce e nel corpo del viandante, spinte da un’urgenza espressiva che non consente indugio o distrazione. Siamo tutti lì, appesi alla sua voce di cantastorie, ora graffiante ora sommessa, ora impetuosa, finché, all’improvviso, si carica nuovamente il suo fagotto sulle spalle e se ne va. Ed esce di scena, con un altro bel personaggio, anche il Festival Artaudiana. La chiusura è infatti affidata alla rappresentazione, il 4, 5, 6 maggio, di Cirano. L’anarchico dal naso lungo.

 

Maria Vittoria Vittori - LIBERAZIONE 1 maggio 2006